DEADLINE. Francesco Costantino.
Di Salvatore Davì
Le mappe che compongono il vissuto più intimo dell’identità di ogni individuo
appaiono attraverso le tracce del corpo che si configurano come memorie
rintracciabili sulla pelle, sui volti e sui gesti. Quando la lingua del corpo parla
attraverso il ritratto le coordinate e il territorio di ogni singolarità fanno i conti
con l’amplificazione estetica che capta il bisogno di riflessione sui processi
identitari. Può accadere però che la pelle scompaia e lasci posto ad una più
viscerale topografia interna che va oltre l’epidermide. Attraversare la superficie
della pelle, far emergere la soggettività sommersa dagli stereotipi e dar voce
all’affettività, alle paure, ai drammi e alle speranze, confluiscono nel lavoro di
Francesco Costantino che costruisce un minuzioso archivio di volti che parlano
della propria generazione.
L’artista sembra trattenere porzioni di corpi costruendo delle psicologie che
partono proprio dall’uso del colore che si impone su dei fondi neri e cupi;
svilisce la figura spogliandola da ogni orpello, resta solo l’essenziale e il gesto
che caratterizzano con efficacia l’individuo, oggetto del desiderio.
I ritratti di Costantino hanno le proprie radici nella fotografia che accerta
l’esistenza del soggetto e riconosce allo stesso la sola possibilità di esistere
in superficie ma non è così, le fotografie vengono rielaborate attraverso un
processo di scorticamento dell’immagine che abbandona la propria pelle. La
pittura non medita più sull’incarnato scientifico, tecnicamente ineccepibile, ma
si rivolge all’espressione dinamica sfruttando il taglio fotografico come nuovo
valore che rovescia l’uso comune del mezzo tecnico volto a immobilizzare
una identità. Il taglio dei ritratti dunque va oltre quella visione parziale che
costituisce l’essenza del ritratto tradizionale. La catalogazione dei soggetti
prende una nuova strada che si divincola dalle unità fisse e monolitiche che le
strategie di qualsiasi potere hanno messo in atto con il controllo. L’individuo
nei ritratti dell’artista non è più rintracciabile, perde le caratteristiche somatiche
generali che lo storicizzano e quindi lo ingabbiano in fototessere e diventa
riconoscibile intimamente a se stesso, alla propria gente e al mondo relazionale
che gli appartiene.
Lo spray per i ritratti di grande formato su fondo nero, i markers per i disegni
su fondo bianco e l’olio per più di cento micro ritratti su tavola 7 x 10 che
Costantino porta con sé in una valigia che simbolicamente è testimone del
suo processo creativo. Ogni medium è legato ad una precisa intenzione grafica
dell’artista: le macchie che caratterizzano i fondi neri dei grandi formati
nebulizzano l’immagine lasciando di essa solo una traccia; al contrario un
segno netto e dall’aria meccanica caratterizza i disegni.
Le dinamiche del quotidiano vengono elevate a rango maggiore ed emergono
dalla costruzione della storia in senso lato per approdare in un mondo dove
le storie si connettono attraverso pratiche affettive. L’artista non interpreta il
bisogno di dar continuità alla storiografia ufficiale sembra piuttosto avvertire
il bisogno di allargare le possibilità dell’esistente in alternativa ad un’ottica
che vede protagonista l’estensione lineare dei fatti senza possibilità di messa in
discussione.
Deadline è anche l’ipotesi della perdita assoluta delle tracce delle opere, l’artista
infatti assegna a ciascuna di queste una data di scadenza che coincide con la
totale copertura. Un gesto radicale che denuncia l’urgenza della fruizione e
mette in risalto una riflessione sui fatti quotidiani che sviliscono l’estetica e i
contenuti.
Francesco Costantino poteva essere l’unico mio conterraneo ad
infrangere la mia attuale sanfedista misantropia. Per motivi suoi
era approdato qui – tra le nebbie pavesi – e ci eravamo promessi
di incontrarci, poi lui è tornato nella sua-mia Sicilia e io mi sono
arruolato su Saturno dove tutt’ora gestisco l’artiglieria. Non mi piace
fare il “critico d’arte”, scrivendo di amici-artisti credo l’abbia detto già
cento volte, sono solo un collega di Costantino con l’aggravante della
scrittura: come tale quindi redigo.
Visto che non faccio critica io allora faccio Krino – qualcuno conosce
il greco? Si perché l’etimo di “critica” si è fatto forse disconoscere
qualora chi la usa, la critica, l’ha tramutata solo in patologia, mentre
critica è già solo Krino/Kritos che è genuinamente “scegliere, separare,
preferire” – tutte cose diseguali dal meccanico polemizzare. Il poeta
invece, fa proprio questo: lui divide e sceglie (fa quindi reale critica),
perché sceglie nella sua liturgia ciò che deve amare da ciò che deve
detestare (e quindi non se ne cura). Carmelo Bene insisteva che l’artista
può capirlo solo un altro artista, il poeta sa capirlo solo un altro poeta.
Vi pare stupido? Arrogante? Falso? Andate a dirlo a Carmelo Bene. Per
me invece aveva ragione. L’arte quasi cromosomica dell’autentico Kritos
è quella sincera della selezione per amore, per selezionare amando
occorre una stratosferica sensibilità, per dividere amando occorre una
parentela con il Sensibile – come quando Wilde per amor di poeta
amava l’arte selezionandola. Ora, tornando a me che al massimo tento
di “scegliere”, faccio allora da satellite umano: scruto il lavoro dei
miei “colleghi”, e scrutando amo, disprezzo, ammiro, lodo, allontano.
Francesco Costantino, classe 1986, rientra nella categoria dei “lodati”, in
quanto adoro il suo disegno, amo la sua pittura.
Ad occuparsi della sua prima Personale ci ha pensato sempre lei, ormai
una vera gemma per la Sicilia: ossia “Zelle arte contemporanea”. Il titolo
della mostra è “Deadline”, ed è stata curata da Salvatore Davì, autore per
altro di un ottimo testo a riguardo. In mostra ci sono tre opere grandi
su tavola, tre disegni su carta e una carovana pirotecnica di 100 piccoli
ritratti.
Perché Francesco Costantino è tra i miei “lodati”?
Perché in lui c’è tutta una freschezza e una cernita dei metodi che è da
seguire con attenzione, è anche poderosa perché cerca in maniera vitale
di farsi un percorso, perché nella condotta estetica che sta maturando
si nota un bisogno istintivo di originalità (e per originalità intendo
bisogno di poetica, di ricerca narrativa, di un gusto proprio e una
lirica individuale). Basta guardare un suo ritratto per intendere ciò;
nella maniera epilettica, scomposta e quantizzata che ha di produrre
fisionomie e rielaborare il colore: lì si vede un bisogno di formattare
una nuova estetica, un nuovo stile. Se ce la farà a trovare tutto ciò non
lo so, ma l’esordio indica questo: forza e bellezza nell’espressione, e
volontà di scassinare qualche portone del futuro.
Gli artisti che preferisco devono essere questi: scassinatori, teste
d’ariete, blindati. Mai banali, mai risibili, mai cioè piatti – mai come il
“capo burattinaio” li vuole. L’artista è un bolide che deve bruciare da
solo, e questo non è romanticismo, questa è Scienza!
Mi sono piaciuti subito i suoi lavori. In un certo qual modo, anche se
Francesco forse non lo sa, in certi suoi approcci ritrattistici potrebbero
coesistere le basi per un empatia con la Teoria Olografica – con un
mondo frazionato, composto da frattali, lottizzato e computistico.
Un mondo materializzato per dispositivi seriali e infine ordinati
a scanning, a fotogrammi, a puro cinematismo e processi di tipo
matematico – così come tutto è per davvero nelle Leggi della Fisica e
della natura; ossia geometrico, algebrico.
Le facce appena abbozzate di Francesco sembrano eseguite da un
sistema computeristico. E’ piacevole infatti quest’incursione ovvia
nell’emisfero del digitale, del trans-fotografico. Quando ho visto i primi
ritratti di Francesco – linea dopo linea, frammento dopo frammento
– ho pensato subito ad una disciplina della Meccanica che amo: la
cinematica per esempio! Disciplina che bene può farci capire la magia
della materia visibile e invisibile, l’aspetto schematico che descrive
quantitativamente il moto dei corpi. Regolarità dello spazio vettoriale
e quadridimensionale composto delle tre coordinate spaziali e della
coordinata temporale – tutto si fa piroette modulate di tratti e sezioni –
e non sembra accadere la medesima cosa in Francesco? Nei suoi ritratti
non c’è forse questa tensione?
Le fisionomie appena tracciate sono in verità completissime, più che
finite – già ci sono – ma eccole per come sono nella realtà profonda
della materia. Per questo è incantevole la gamma di ritrattistica di
Francesco.
Corpi formati da puntini, sagome a tratti, corpi spezzettati, sbriciolati,
personaggi sintetizzati da mosaici sospesi di tagli, segni, segmenti.
Anche il colore è pensato allo stesso modo: campiture totali o
monocrome che poi se si accavallano non badano alla coerenza della
forma giacché la forma (il corpo del ritratto) è già onnipresente.
Cosimo Piediscalzi
Le opere di Francesco Costantino parlano un linguaggio metropolitano
che coniuga intimismo e dissacrazione. Con un lessico pittorico
essenziale, giocato sulla crasi tra ritrattistica classica e culture grafiche
giovanili, tematicamente scisso tra ritualità sociali e schegge di
memorie personali che mettono sempre al centro dello spazio la forma
dell’uomo.
L’uso dello spray è per il giovane artista punto nevralgico di un
approccio estetico che declina il suo repertorio in un universo
articolato di icone, componendo un work in progress dai toni lisergici,
in un viaggio tra pittura e istallazione.
Costantino ricorre a diversi mezzi e supporti: spray su fondi neri
che riecheggiano in chiave underground la tradizione dei ritratti su
tavola, convertendo il luogo stratificato e lento dell’immagine in una
traccia sintetica e nebulizzata, in un aforisma generazionale; markers
su carta bianca per un albo di individui e frammenti urbani definiti da
un tratteggio meccanico, una mappatura sismografica; microritratti
ad olio in formato 10 x 7 che fondono lo scandaglio psicologico con
la velocità del gesto pittorico. Questi medium trovano una matrice
comune in un background legato ai graffiti, che unisce alla velocità
esecutiva l’interrogazione sul nostro tempo. Francesco Costantino
mette in campo un immaginario figurale in cui ancora si percepisce
la freschezza del gesto creativo in strada e che si ricollega al grande
filone della storia dell’arte senza dissimulare la lezione di maestri
come Schiele, Picasso, Warhol, Leonardo, Katz, Bacon, Lichtenstein,
Rembrandt, Richter e altri ancora. In arte il passato è una piattaforma
dalla quale sfidare il proprio tempo, costruendo un’identità al presente.
Ida Parlavecchio
(Critico e Curatore indipendente)